BAND: Orange Goblin
ALBUM: Science, not Fiction
GENERE: Heavy Metal
LABEL: Peaceville Records
ANNO: 2024
Uscite discografiche di band come gli Orange Goblin sono sempre seguite con una certa attenzione, da fan sfegatati e curiosi della prima ora.
Come già anticipato nella nostra intervista con il frontman Ben Ward, questo disco rappresenta però quasi una rinascita per il gruppo inglese. Dopo 6 anni da The Wolf Bites Back, questa decima uscita racconta di una band che cerca di ripartire e che non ha intenzione di fermarsi.
E lo fa nel migliore dei modi, rimanendo sì fedele al suo illustre passato, ma cercando allo stesso modo di esplorare nuove soluzioni.
Ma partiamo con ordine: ascoltando l’album, non si può non apprezzare il lavoro svolto da parte di Mike Exeter in cabina di regia. Un nome che nel panorama metal ha bisogno di veramente pochissime presentazioni, avendo prodotto band dal calibro di Judas Priest e Black Sabbath.
Il muro di suono costruito da Exeter, va detto, rimane comunque sorretto dalla potente sezione ritmica composta da Chris Turner ed Harry Armstrong. Quest’ultimo, fresco di debutto nella band, si mette da subito in mostra nell’infuocata The Fire at the Centre of the Earth is Mine.
A questo punto, una volta subentrato anche Joe Hoare con i suo riff di chitarra massicci, ci pensa Ben Ward con il suo inconfondibile stile a proclamare:
I will not apologise for the bastards that I’ve been
And I will not romanticise all the darkness I have seen
Un testo decisamente crudo, senza troppi giri di parole, che si discosta in parte dalle tematiche fantasy che avvolgevano i testi dei precedenti album. In questo lavoro, infatti, Ward si sforza di offrire un punto di vista diretto e a tratti personale sulla vita di tutti i giorni.
Superata la prima traccia, è tempo adesso di (Not) Rocket Science, primo singolo estratto dall’album che si propone come un metal anthem ideale da portare in sede live.
In Ascend the Negative, invece, si abbandona in parte l’atmosfera puramente heavy metal. A metà brano, infatti, un inaspettato cambio di tempo ci porta in territori stoner/doom. Territori che, del resto, hanno dato i natali alla band inglese, mentre Ben Ward ci invita a spezzare le catene e sfidare i nostri demoni in un diabolico sermone moderno.
La successiva False Hope Diet è la traccia più lunga dell’album che, con i suoi quasi 7 minuti di durata, vede la band londinese destreggiarsi in diverse sperimentazioni dal sapore progressive.
Ci sono, infatti, parti del brano diverse e variegate tra di loro in cui la sezione strumentale mostra tutto il suo affiatamento, mentre Ward ci ricorda con fare premonitore che:
What you see isn’t always what you get, What you get isn’t always what you need
Il pezzo si chiude con un roboante assolo di Hoare, dalle tinte fortemente blues. Intanto, l’ingresso di un organo nell’outro dona al brano il sapore di un brano hard-rock/progressive degli anni ’70.
Un’intro cupa da film horror introduce la roboante Cemetery Rats, che sfuma nel basso sporco di wah di Harry Armstrong. Questo incipit è in grado di creare un’ottima atmosfera in vista della restante porzione del brano, dove un veloce riff di chitarra è abilmente scandito dalla prova vocale di Ward.
A seguire The Fury of a Patient Man e The Justice Knife, dove l’intreccio iniziale tra chitarra di Hoare e basso di Armstrong lascia spazio a dei brani con dei richiami all’hardcore punk.
Questi due brani sono intervallati da Gemini (Twins of Evil), dove si ripete la stessa formula mostrata su False Hope Diet. Stavolta, ci troviamo davanti ad un brano che racconta le diverse facce del male, con diverse sezioni abilmente gestite dal batterista Chris Turner.
Il disco termina con End of Transmission, in cui le atmosfere sci-fi della copertina e tanto care agli Orange Goblin prendono appieno vita. Sullo sfondo, la brusca fine di una civiltà viene raccontata da Ward con la sua solita ferocia.
Arrivati alla conclusione del disco, ci ritroviamo al cospetto di un lavoro che racconta di una band ancora capace di sperimentare nuove soluzioni. Allo stesso tempo, però, rimane comunque fedele al suo sound che l’ha sempre contraddistina da 30 anni a questa parte. Sensazione confermata anche dalla bonus track Eye of the Minotaur.
Tutto questo non sarebbe possibile senza l’incredibile alchimia e bravura tra i componenti della band. Questa volta, grazie anche ad un produttore di rilievo, è riuscita ad esprimere le proprie idee con uno dei suoni migliori della sua intera carriera.
In definitiva, Science, not Fiction ha tutte le carte in regola per essere uno dei lavori più coinvolgenti nel panorama metal di questo 2024. Un ascolto assolutamente da non perdere!
Voto: 9/10
Tracklist
1. The Fire At The Centre Of The Earth Is Mine
2. (Not) Rocket Science
3. Ascend The Negative
4. False Hope Diet
5. Cemetary Rats
6. The Fury Of A Patient Man
7. Gemini (Twins Of Evil)
8. The Justice Knife
9. End Of Transmission
10. Eye Of The Minotaur (Bonus Track)
Lineup
- Ben Ward – voce
- Joe Hoare – chitarra
- Chris Turner – batteria
- Harry Armstrong – basso