Photo credit: Tina Korhonen

Vedere una band raggiungere il traguardo del decimo album è un evento ormai più unico che raro.

A maggior ragione se la band in questione si chiama Orange Goblin, un’istituzione della scena stoner/doom.

Il loro nuovo album Science, not Fiction è in uscita il 19 Luglio per Peaceville Records e noi abbiamo avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con il frontman Ben Ward.


Ciao Ben, come stai? So che in questi giorni vi siete imbarcati in un mini-tour che ha attraversato alcuni dei più grandi festival europei… (il Mystic Festival in Polonia e il Tons of Rock in Norvegia, ndr.)

Ben: Ciao Giovanni, tutto bene grazie! I concerti sono stati fantastici, abbiamo avuto anche modo di suonare alcuni pezzi del nuovo album e siamo rimasti davvero contenti dalla loro resa in sede live e dalla reazione del pubblico!

E non è finita qui: abbiamo altre date in Olanda, Germania, Francia; oltre ad un tour in Inghilterra ad Ottobre.

È proprio del nuovo album di cui oggi andremo a parlare. Nonostante sia il vostro decimo lavoro, è pieno di novità: una nuova etichetta (Peaceville Records, ndr.), un nuovo produttore (Mike Exeter, ndr.) ma soprattutto un nuovo bassista (nel 2020 lo storico bassista ha lasciato il posto a Harry Armstrong, ndr.). Come vi siete trovati a realizzare questo nuovo lavoro con tutti questi cambiamenti?

Ben: Devo dire in realtà che si è trattato di un processo molto semplice e naturale.

Certo, c’è stato un gap di 6 anni con il precedente disco. Dopo una serie di concerti negli USA nel 2019, eravamo pronti per celebrare il 25esimo anniversario della band nel 2020. Ovviamente, con il Covid, tutto questo non è avvenuto, e nel frattempo Martyn, il nostro bassista, ci ha comunicato di voler interrompere la sua permanenza nel gruppo.

Ci ha però esortato ad andare avanti e suggerito Harry come sostituto: paradossalmente, grazie al Covid, Harry ha avuto tutto il tempo di imparare da cima a fondo il nostro catalogo e una volta usciti di casa, ci siamo trovati veramente bene a suonare assieme.

Nella scelta di una nuova etichetta, Peaceville Records ci è sembrata la scelta più semplice per il loro interesse nei nostri confronti e soprattutto per la loro pazienza, dato che prima di registrare un disco dovevamo riprogrammare tutti gli show sospesi durante la pandemia.

Arrivati a inizio 2023, quando poi ci siamo trovati a dover pianificare la registrazione dell’album, il produttore del nostro precedente lavoro (The Wolf Bites Back, ndr.) si era da poco trasferito in Portogallo e per noi era logisticamente impossibile realizzarlo lì. Siamo stati fortunati a trovare Mike Exeter, un produttore il cui lavoro con Black Sabbath, Tony Iommi e Judas Priest parla da sé.

Lui era molto entusiasta di lavorare con noi, abbiamo passato una serie di weekend fuori Londra nel suo studio a registrare il nuovo disco: avere l’opportunità di intervallare le registrazioni, durante le settimane, ci ha permesso di riascoltare il lavoro sempre con mente fresca, ed eccoci finalmente qui con il master pronto per essere rilasciato!

Entriamo nel dettaglio del nuovo disco. Science, not Fiction arriva sei anni dopo The Wolf Bites Back e, da allora, il mondo ha subito profondi cambiamenti. Quanto gli eventi degli scorsi anni ti hanno condizionato nella scrittura dei testi per i nuovi brani?

Ben: Credo che la pandemia ci abbia aperto gli occhi su un sacco di cose. Per quanto sia stata una minaccia seria, dove un sacco di persone hanno perso la loro vita, sono rimasto particolarmente turbato dal modo in cui i governi hanno gestito l’emergenza: sembrava quasi di trovarci dentro un grande esperimento sociale, come in un romanzo orwelliano, dove le persone venivano tracciati tramite i loro telefoni e un sacco di fake-news manipolavano l’opinione pubblica.

Non a caso, la scelta del titolo Science not Fiction racchiude i tre aspetti che più di tutti secondo me incidono, nel bene e nel male, sulla condizione dell’essere umano: scienza, spiritualità e religione.

Questo ci ha dato la possibilità di trattare argomenti da un punto di vista più diretto e concreto rispetto ai brani del passato, dove c’era comunque un elemento fantastico nei nostri testi.

Spero che ai nostri fan piaccia questo cambiamento e che possano riconoscersi con le tematiche dei nuovi brani.

Ascoltando il disco, in effetti, si nota il contrasto tra questi tre pilastri, con dei testi molto più crudi e diretti rispetto al passato. Ma emerge anche un briciolo di speranza: nel primo singolo, (Not) Rocket Science, ci inviti a tirare fuori il massimo dalla nostra vita.

Ben: Si, negli ultimi due anni la mia vita personale è andata incontro a grandi cambiamenti: sono ormai due anni che ho smesso di bere, ho uno stile di vita molto più salutare e questo mi ha permesso di guardare la vita da un punto di vista diverso.

Questa canzone di fatto parla di sfruttare al massimo le proprie possibilità per cercare di vivere una vita per quanto possibile felice e onesta.

Parlando degli altri singoli, The Fire At Centre of the Earth is Mine rappresenta il modo migliore per dare l’inizio al disco e soprattutto un’opportunità per far ascoltare i virtuosismi del nuovo bassista Harry Armstrong. E’ stata voluta la scelta di utilizzare questa traccia come brano di apertura?

Ben: All’inizio Harry era un po’ restio a proporre le sue idee, essendo da poco entrato nella band, ma noi l’abbiamo incoraggiato a farsi avanti e da lui è partita la linea di basso che da le fondamenta al brano!

La canzone è stata scelta come apriprista perché con la sua velocità up-tempo rappresenta appieno lo stile degli Orange Goblin, e inoltre anticipa molti degli argomenti trattati nell’album: non possiamo cambiare quello che siamo stati, ma possiamo cercare di fare del nostro meglio per cambiare quello che potremo diventare in futuro.

Il terzo singolo Cemetery Rats, ci porta invece a delle atmosfere quasi horror. Anche dal punto di vista stilistico, la copertina di questo disco ricorda un horror uscito direttamente dagli anni ’70. E’ un’ispirazione che vi ha condizionato nella scelta dell’artwork?

Ben: Sì, noi siamo dei grandi appassionati di film dell’orrore, in particolare i film italiani di Dario Argento o Umberto Lenzi, quindi abbiamo cercato di omaggiare quell’aspetto, insieme alle copertine dei romanzi sci-fi, che ovviamente hanno influenzato parecchio la realizzazione dell’artwork dato le tematiche che andremo a trattare.

Ora che hai menzionato Dario Argento, mi fa sorridere come coincidenza che in alcuni dei suoi film la colonna sonora era firmata da una band chiamata semplicemente Goblin

Ben: Sì, è vero! Pensa che per aprire i nostri concerti abbiamo utilizzato per un sacco di tempo il tema principale di Suspiria. Tempo fa, a Londra, ho avuto l’opportunità di vedere i Goblin di Claudio Simonetti e siamo diventati amici: noi adoriamo i Goblin e anche lui adesso è un fan degli Orange Goblin! (ride, ndr.)

Tornando al disco, ha tutto quello che ci si aspetta da un lavoro degli Orange Goblin, ma contiene anche dei momenti in cui viene alla luce il vostro lato progressive, come in False Hope Diet e End of Transmission.

Ben: Mi fa piacere tu l’abbia notato, del resto il motivo per cui abbiamo dato inizio agli Orange Goblin è perché ognuno di noi provenie da un background molto eclettico, che spazia dal blues al jazz, e per questo tendiamo ad inserirlo quando possibile nella nostra musica.

Certo, abbiamo tutti delle influenze in comune, come Black Sabbath o Motörhead, ma adoriamo anche gruppi come Pink Floyd, Rush e King Crimson: noi abbiamo cercato sempre di suonare la musica che a noi piace, e se poi piace agli altri…beh, quello è un bonus!

Parlando di Black Sabbath, sicuramente lavorare con un produttore del calibro di Mike Exeter vi ha permesso di esprimere al meglio il vostro lato più doom…

Ben: Mike è un grande, non si è mai tirato indietro dal dare dei suggerimenti ed aiutare a migliorare la resa delle nostre canzoni.

In passato, magari, eravamo un po’ restii ad accettare opinioni dall’esterno, ma quando hai a che fare con un produttore che ha lavorato a stretto contatto con Tony Iommi o i Judas Priest, è meglio che ascolti!

Ci ha spinto a registrare quanto più possibile le tracce dal vivo ed ha reso il periodo di registrazione molto piacevole con il suo incredibile senso dell’umorismo.

Lo studio poi era in una chiesetta abbandonata, che regalava sicuramente una grande atmosfera: inoltre, stando fuori Londra, in un piccolo paesino, ci ha aiutato ad essere molto più concentrati durante le sessioni di registrazione!

Spero che in futuro avremo di nuovo l’opportunità di lavorare ancora con lui.

Parlando proprio del futuro, cosa vi aspetterà dopo il rilascio di questo album? Il trentesimo anniversario della band si avvicina, avete pensato ad un tour celebrativo o addirittura un tour mondiale?

Ben: Per noi andare in tour richiede un grosso sforzo in termini di organizzazione, anche perché abbiamo la nostra vita di tutti i giorni da portare avanti, tra lavoro, famiglia e figli.

Quindi, nel momento in cui organizziamo dei concerti, cerchiamo sempre di realizzare date nei festival o piccoli tour, in modo tale da poter organizzare la nostra vita di tutti i giorni al meglio.

Questo secondo me è un aspetto interessante, che molto spesso passa in secondo piano. Anche se voi siete sotto una label, gestite in autonomia molti aspetti logistici della band. Quanto è difficile conciliare tutti questi aspetti tra di loro?

Ben: Con il tempo abbiamo imparato a gestire molti degli aspetti organizzativi tra di noi. Del resto gli Orange Goblin sono la nostra vita, e chi meglio di noi può contribuirci?

Il fatto che siamo partiti a metà degli anni ’90, quando ancora Internet non era così diffuso, ci ha imposto di fare tutto “alla vecchia maniera”, chiamando i locali, mettendo in giro i volantini dei nostri concerti e fare viaggi nelle condizioni più disparate possibili.

Questo ci ha permesso di creare una rete di conoscenze molto fitta e, passati 30 anni, stiamo raccogliendo i frutti di tutto questo duro lavoro.

Siamo molto grati di questo, e nella band ognuno da il suo contributo: personalmente mi occupo di gestire i rapporti con locali e promoter per i concerti, mentre Chris, il nostro batterista, si occupa del merchandise. Il nostro chitarrista Joe si occupa dell’inventario e di gestire la nostra strumentazione, mentre Harry si sta occupando della parte dei social media.

Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato Ben, è stata una chiacchierata davvero interessante! Spero di vedervi in Italia al più presto

Ben: Grazie a te, anche a me ha fatto molto piacere! Sì, stiamo prendendo alcuni contatti con dei locali in Italia, quindi speriamo di vederci presto!

Di Giovanni Fiordeponti

Heavy metal and computer science: name a better duo!

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